Ecco due esempi, sono entrambe gialle.
La domanda è: quella con la moneta è un packaging studiato per i poveri?
Buona riflessione a tutti
Simonetta
sabato 23 febbraio 2008
Confezioni a confronto
Pubblicato da simonetta alle 18:45
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6 commenti:
non è un prodotto per i poveri ma un prodotto di scarsa qualità e la grafica del packaging lo illustra alla perfezione. ritengo che la scelta (o non scelta) di progettare una grafica di questo tipo per un prodotto come questo sia "rispettosa" del consumatore. è ora di finirla di vestire i cattivi prodotti con abiti che ne nascondono la vera natura
Sarebbe davvero istruttivo, più che riflettere, provare a fare una ricerca, trovare l'ideatore di cotanta dose di orrore e capire qual'è stato il percorso psicologico e progettuale di tutta quella linea di prodotti che tanto inorridisce la nostra categoria. Nessuno sa chi ci ha lavorato?
Fin dalla nascita della cooperazione di consumo e, comunque, dall'avvento della grande distribuzione, i differenti marchi del commercio dei prodotti alimentari si sono posti il problema di proporre, all'interno dei propri supermercati, prodotti (prevalentemente alimentari) di fascia economica bassa. Sono i cosiddetti prodotti primo prezzo o prezzo più basso o prezzo ok: latte, sale, biscotti, pasta, pelati, ecc. sui quali la grande distribuzione non investe se non a livello di un controllo qualitativo/sanitario che deve convergere su un valore medio rispetto al ventaglio dei prodotti a listino.
Non investe al punto che, nel contrattare, per grossi quantitativi di un determinato prodotto, il prezzo più basso per i propri clienti, delega ai produttori la realizzazione delle confezioni, da produrre secondo i limitati mezzi tecnici a disposizione di questi ultimi (grafica con pochi colori da stampare sui tetrapack in flexografia, packaging realizzati con materiali poveri, ecc.) con l'unica adozione per convenzione del giallo per conferire a quei prodotti una immediata evidenza nel luna park degli scaffali di un supermarket. Fatte salve queste scelte, ogni marchio (Coop, Eselunga, Auchan, i discount tedeschi, ecc.) si gestisce l'immagine grafica di questa operazione come meglio crede, ma come detto senza spendere energie in promozione.
Con queste osservazioni tuttavia non si risponde all'obiezione: perché la grafica deve essere per forza sciatta, sgradevole, miserabile?
I prodotti con la moneta che ride sono quelli venduti da Coop: anche a me, la prima volta che li vidi, venne da chiedermi perché, pur rispettando un investimento minimo di progettazione e realizzazione, non confezionare anche quelle grafiche secondo dei criteri che per altri prodotti sarebbero irrinunciabili scelte di strategie di marketing? La risposta fu che l'operazione funzionava molto bene così (a differenza per esempio di Esselunga e Auchan che sui prodotti di quella stessa tipologia avevano alzato il tiro) e la presenza di quei prodotti era molto gradita alle fasce meno abbienti dei consumatori.
La risposta non è stata a mio avviso sufficiente. Il marketing è salvo ma il diritto al gusto (dell'immagine, dell'offerta) no. Leggendo qua e là e confrontando le opinioni della gente riguardo queste confezioni, mi sono fatto un'idea differente. Sarebbe stato interessantissimo, credo per chiunque di noi, progettare una confezione tinta completamente di giallo primario (magari con inchiostri fluorescenti) composta con una grande ed unica scritta "LATTE" in Helvetica stretto tutto maiuscolo stampata a nero, senza niente altro: sarebbero stati salvi quei criteri di visibilità, povertà dei sistemi di riproduzione disponibili e rispetto del budget poc'anzi dichiarati. Ne sarebbe però uscita una realizzazione carica di appeal minimalista, ben reperibile ad un consumatore di classe medio alta e di medio alta cultura che invece VOGLIAMO che compri ben altri prodotti: come, la confezione gliela stampiamo in giallo così è impossibile non scorgerla nel baluginio di luci e colori del discount, la confezione gliela facciamo di design in modo da attirarlo, il prezzo poi è anche quello più vantaggioso e tutto il resto del supermercato come lo vendiamo??!! La scelta dunque si è orientata sul riaffermare l'economicità del prodotto (la moneta che ride e si risparmia), cercando di mantenere basso l'impatto semantico della gradevolezza dell'involucro.
Questi purtroppo sono i criteri delle agenzie di pubblicità che troppo spesso finalizzano l'intervento della grafica non alla corretta veicolazione del prodotto, all'informazione e all'educazione visiva, ma al raggiungimento, a qualsiasi costo, di un risultato. A noi trovare quello stesso risultato, facendo del graphic design non un vestito confezionato all'occorrenza ma un progetto serio di comunicazione, rispettando la qualità complessiva dell'offerta, proponendo soluzioni che si fondano sul rispetto del target, sul risparmio dei materiali da confezione, sulla chiarezza dell'informazione. Stiamo già discutendo del Manifesto della qualità...
La disamina di Walter è di una lucidità inquietante. I meccanismi del mercato, effettivamente, si muovono su tutt'altri binari che quelli della logica e del senso comune. Un bel volume che consiglio a tutti coloro che vogliono aprire la mente su questi argomenti è L'economista Mascherato di Tim Harford. Un problema che non presenta facili soluzioni, ma che evidenzia i molti compromessi e le sabbie mobili morali della nostra professione. Un ulteriore argomento su cui fare una non facile, ma necessaria, riflessione.
L'idea che un prodotto valido, venduto a basso costo e con una immagine di un certo appeal possa frantumare il mercato divenendo uno dei più venduti mi solletica alquanto. I consumatori che vogliono il prodotto di nicchia (migliore, ma anche più costoso) lo compreranno lo stesso. Troppo semplice?
Prima ancora di esercitare le nostre capacità di buona progettazione grafica credo che dobbiamo essere capaci di attivare la nostra capacità di critica verso i progetti esistenti, come mi pare di leggere nell'intervento di Debora Manetti. Siamo tutti molto bravi a riconoscere i buoni progettisti e la qualità dei loro lavori, motivandone le peculiariatà, le connessioni, i sostrati. Ma è difficile che ci occupiamo criticamente dell'immane massa di bruttezza che caratterizza la grafica contemporanea, che cerchiamo di indagarne le motivazioni, che si tenti di identificarne gli autori. Eppure penso che questa azione critica, svolta con assoluta oggettività, privata di ogni personalismo, potrebbe dare buoni frutti anche se sono consapevole dell'immane compito: pochi (relativamente) bei progetti galleggiano su oceani di bruttezza. Ma qualche volta bisognerà cominciare, da qualcosa, sia pure il burro. Credo che dobbiamo comprometterci intellettualmente e culturalmente, se vogliamo sostenere il valore della nostra professionalità. Sarà molto, molto difficile: i (cosidetti) giovani ad esempio si lasciano irretire da oggetti messaggi simboli etc privi di qualsiasi connotato di qualità visiva (per non parlare del resto, spesso) motivati unicamente da (che
cosa?). Volutamente uso "bello" e "brutto" come termini onnicomprensivi e, auspico, non soggettivi, e non me ne vergogno, pronto a tentare comunque un discorso esplicativo, caso per caso...
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