mercoledì 16 aprile 2008

Il talento di mr. Sagmeister



Stefan Sagmeister è l'unica fottutissima rockstar della grafica mondiale. E' così dannatamente bravo che si deve parlare di lui come in un film di sbirri americani: perché arriva un punto in cui l'ammirazione non può che scadere nel turpiloquio.

Il suo primo libro (Made you look) era già un classico tra i libri di graphic design, con una carrellata di progetti sempre pieni di invenzione e di umorismo, ricchi di personalità e di idee. Adesso per Abrams esce Thing I have learned in my life so far: un volume che non solo conferma il talento di Sagmeister ma lo colloca di diritto nel maledetto olimpo dei geniacci di tutti i tempi. Ci vuole un po' a capirlo, ma se uno si mette lì, alla fine non può che inchinarsi ad una serie di trovate che non hanno eguali...



Innanzitutto, Sagmeister vende come libro di grafica quello che è soprattutto il resoconto di un progetto artistico personale. Negli ultimi anni il grafico di origine austriaca si è infatti dedicato alla realizzazione di una serie di installazioni che (nello stile della word art di Jenny Holzer) sono essenzialmente degli esercizi di stile tipografici su aforismi semplici e potenti che Stefan si è scelto/inventato/ritrovato come regole di vita. Sono venti brevi frasi, piccoli pezzi di buon senso al limite della banalità, da «preoccuparsi non serve» a «i soldi non mi fanno felice», da «le persone oneste sono interessanti» a «cercare di avere un bell'aspetto limita la mia vita».



Banale? Tutt'altro. Nelle mani di un genio come Sagmeister, con il consueto talento ed il gusto per la sorpresa e il meraviglioso, l'esercizio di stile prende vita in una galleria straordinaria di invenzioni e di coup de theatre grafici. Ecco allora che «avere coraggio per me funziona sempre» appare grazie a teli tesi tra gli alberi, mobili accatastati e würstel illuminati a dovere; «tutti pensano di aver ragione» si legge tra le mani di scimmie gonfiabili alte 12 metri (oppure scritto pisciando di notte in Wall Street), «preoccuparsi non serve a nulla» è realizzato con 60000 grucce di plastica per una struttura di 38 metri di lunghezza... Ogni strategia di comunicazione formale è valida per attirare l'attenzione sul contenuto, proponendo un'originalissima soluzione al problema fondamentale della professione, quella di dover lavorare su messaggi e contenuti altrui e spesso non condivisibili. E' dai tempi di Munari che non vedevamo una soluzione così brillante alla dualità tra artista e designer.



Ma occhio: il terzo colpo di genio del nostro Sagmeister è quello di riuscire ad essere comunque e ancora un designer, e non un artista concettuale. Perché questi progetti sono quasi tutti applicati a vere e proprie commissioni, e rispondono alle richieste di veri clienti. In pratica, Sagmeister per divertirsi in questo modo si fa pure (dice) pagare, come quando riesce a piazzare «i soldi non mi fanno felice» alto cinque piani sulla facciata del casinò di Linz. Qui l'ammirazione è sconfinata, beato lui che può e se lo merita... ma è anche una cosa che ci spinge a riflettere su quanto si dovrebbe osare di più nella nostra professione.



Senza contare che, siccome è una fottutissima rockstar, Stefan fa in modo di mettersi sempre nel mezzo, a puntare sul proprio essere personaggio, a cominciare dalla copertina realizzata con una ingegnosa tecnica ad intarsio che riproduce il suo volto reso diverso dall'ordine in cui vengono riposti i sedici volumetti che compongono il libro. Sagmeister aveva già usato il suo corpo come tavolozza in uno storico manifesto per l'Aiga: adesso si inventa protagonista di una performance video che per illustrare «col tempo mi abituo a tutto e lo do per scontato» lo porta a spenzolare, in stile JackAss, dalla finestra di un grattacielo di Manhattan, per poi farsi un bagno nudo nell'Hudson. Niente da dire, fottutamente fico.



Last but not least, la nostra rockstar non si nega il gusto di un progetto web molto 2.0 collegato al libro, invitando online i lettori a proporre i propri motti e rendendo l'esperienza una specie di stimolante workshop collettivo. E' sul sito che vi potete godere anche il primo corto di Stefan da regista, che afferma «tenere un diario aiuta a crescere». Non possiamo che condividere: tenere un blog è un po' come tenere un diario, e riflettere sul lavoro di Sagmeister è un'occasione di meditare sul proprio lavoro, cercare di migliorarsi e casomai, perché no, provare anche un po' (in piccolo) a seguirne le orme...

5 commenti:

jude [frush] ha detto...

Già è proprio un genio.
Segnalo a chi non l'avesse vista la sua conference su TED
http://www.ted.com/index.php/talks/view/id/50

Walter Sardonini ha detto...

E'veramente formidabile. E non è il solo: vedendo le sue installazioni e lo spirito con cui realizza le opere di grafica mi è tornato in mente il lavoro di Shigeo Fukuda, di Ken Cato, di Carson, di April Greiman, di certi interventi di Brody. Tutti personaggi il cui lavoro è riconosciuto e richiesto nelle arti applicate come la comunicazione, ma anche (spesso soprattutto) come opera d'arte tout court. Viene da dire che all'estero, fuori che qui da noi, il designer è riconosciuto come il maggior interprete della nuova arte visiva e a quell'artista si richiede di volta in volta la veste grafica della confezione di un prodotto, così come l'allestimento di un museo o il manifesto di uno spettacolo di teatro o un'opera di fantasia che conferisca anima e valore a un edificio, sede di un'impresa.
Già, ma a ben pensare questa elevata predisposizione della committenza nei confronti del "grafico" era ben viva anche in Italia, qualche tempo fa. Ricordiamo quando Huber, Stainer, Vignelli poi, non si occupavano solo di pieghevoli, poster e copertine, ma disegnavano l'immagine del nostro quotidiano, vestendo e dando significato a iniziative culturali, insegne di supermercati, biennali, edifici scolastici, ecc.
Perché questo non succede più?
Che cosa è sopraggiunto a provocare questo strappo tra arte e applicazioni nel campo del visivo, tanto che l'esecutivo è sempre preferito all'intervento? E ancora a cosa risale la ulteriore scissione tra la figura del designer e quella del grafico?
I motivi sono molteplici...

Volevo rispondere con due righe, ma non c'è verso, non mi riesce. Basta, Mi fermo. Poi ora ho sonno e vado a letto. Saluti

Cosimo Lorenzo Pancini ha detto...

Beh, Walter, i motivi sono molteplici... ma a volte penso che i creativi dovrebbero prendersi le proprie colpe. Scommettere oltre le attese professionali, sapere osare creativamente, alzare il tiro del proprio operato, sono cose che richiedono una passione e un'applicazione che pochi, sebbene casomai talentuosi, riescono a praticare. Italica ignavia? Generazionale depressione? Che ne so... so solo che è una trappola da evitare con tutte le proprie forze.

Walter Sardonini ha detto...

Sottoscrivo assolutamente.

francesco canovaro ha detto...

Apprezzo la tua sintesi walter :-)