giovedì 22 maggio 2008

Partinico e i suoi fratelli




Appunti per uno statuto


Vado su internet per vedere i risultati del concorso per il logo della Real Cantina Borbonica del Comune di Partinico. Il collegamento Adsl è performante: la pagina compare d'un bleu e l'impressione immediata che restituisce la vista dell'icona del post in questione è (lo confesso) buona. Poi entro nel dettaglio delle applicazioni del progetto vincitore e degli altri classificati. Esco da Firefox (non perché contrariato da ciò che vedo, ma perché richiamato in altre faccende). Rientro in internet: IDFI tace. Allora ci riprovo con Partinico: l'impressione è già più moscia. Leggo le motivazioni della giuria: è l’interpretazione più chiara, sul piano strategico, delle richieste formulate dal bando.
Eppure io il bando l'avevo letto... Ci rivado. Il passaggio più significativo recita: Il Museo ... presenterà prioritariamente la storia del complesso, di quanto vi avveniva, del tipo di lavorazioni che vi si svolgevano e del loro impatto sul territorio ... Non si tratta quindi, nelle intenzioni dell’Ente, di un museo “etnografico”, piuttosto di un contenitore in cui, tra le varie attività, si potrà riscoprire un pezzo di quella storia della Sicilia ... Tra le altre attività destinate ad essere ospitate presso il Museo vi sono previste: l’esposizione di prodotti tipici locali, una raccolta di dati sul territorio e le sue produzioni, iniziative culturali a vario titolo...
Il resto sono indicazioni storiche e architettoniche, incentrate sul concetto che ... L’identità di un luogo “culturale” o comunque di pubblico interesse, come il caso di un Museo, è determinata dal sito stesso, dall’architettura (“il contenitore”) e dai suoi contenuti ... L’identità si determina ... proprio grazie alla contemporanea presenza di genius loci (lo spirito del luogo), di elementi immateriali, ma anche di quelli decisamente più fisici o comunque in grado di definire uno spazio e quanto tale spazio contiene ... Il piano della comunicazione è proprio quello che tiene insieme contenuto e contenitore, rendendo esplicito in termini visivi il loro legame.
Ritorno sul lavoro prescelto: la giuria afferma di leggere nel simbolo la corona borbonica (sì), una M di museo (nì...), un fregio decorativo del carretto siciliano (boh...!).
Quanto all'interpretazione aderente al piano strategico: ... Il progetto del marchio deve interpretare visivamente i valori storici della sede del Museo (la Real Cantina Borbonica) ed i suoi contenuti in maniera tale da essere riconoscibile e distinguibile ... Mah!
Con tutta la buona volontà riesco difficilmente ad immaginare come la struttura di Partinico potrà ospitare nel (azzardo) novanta per cento delle proprie attività contenuti diversi da quelli di un museo di storia e civiltà contadina con materiali storici sulle tradizioni locali, attrezzature per il lavoro della terra ecc.: e dico ciò, sia beninteso, con il massimo rispetto di queste forme di salvaguardia della tradizione e con tutto il piacere antico che provo ogni volta che mi capita di visitarne.
Non riesco perciò a vedere quei luoghi e quelle attività firmate con l'immagine premiata dal concorso: non me ne voglia l'autore nostro concittadino se dovesse imbattersi in queste righe (non parlo degli altri classificati, che pure hanno ricavato dei bei soldini). Ciò che resta più difficile da comprendere non è la grafica della sua realizzazione, ma è come la giuria, supportata da esperti della comunicazione (!), dopo aver confezionato il bando che ancora si può scaricare, abbia operato una scelta a mio avviso assolutamente non congrua alle intenzioni dichiarate.
Già in altro post parlai di progressiva inesorabile scollatura tra committenza e professionisti della comunicazione: in occasione della edizione udinese della mostra di manifesti Alba, si parla di morte del manifesto. Chi è, come tutti noi, chiamato a dare forma e immagine alle svariate iniziative temporanee o permanenti che ci vengono commissionate, deve riuscire a prevedere la "durata" di un progetto proposto: non nei secoli dei secoli, ma semplicemente deve riuscire ad individuare un oggetto che vada oltre l'incantamento e la gradevolezza della novità e sia davvero aderente alle necessità di chi lo ha commissionato. Deve andare oltre l'illusione o l'infatuazione estemporanea del cliente impreparato. E questo, spero sia per tutti ovvio, non vuole certo dire ricorrere solo e per forza a realizzazioni classicheggianti o, peggio, polverose: approfondisco in un testo di appunti che ho preparato per un ipotetico statuto il concetto di sintesi tra forma e contenuto e di questo vorrei parlare insieme a tutti al più presto.
Insomma, le stesse osservazioni che feci quando vidi la campagna di immagine per il Maggio Musicale di quest'anno: cosa c'entra quell'immagine (non quella foto o quel lettering o quella soluzione grafica, ma il timbro di quell'immagine nella sua globalità) con opera lirica, musica classica, smoking, flauti e papillon? Certo, qualcuno avrà affermato la richiesta di un'immagine rinnovata (rispetto alla precedente ben venga), frizzante, per giovani, sensuale (o bravo!). Questa tradisce i contenuti e di conseguenza il pubblico, alludendo a sentimenti più grevi e volgari. Non è la strada giusta per rinnovare l'immagine e rilanciare un'attività.
La coscienza e il rispetto del nostro operare deve nascere in primo luogo da noi stessi, da professionisti e artisti che non devono essere allusivi e spendere la propria intelligenza nel tentativo di toccare corde sensibili di una committenza talvolta superficiale e trovare le chiavi giuste per rinnovare la qualità tenendo fede a corretta informazione e semantica appropriata delle attività per le quali si cimentano. E' il nostro modo di porci intellettualmente che deve riscattare il rispetto dalle grinfie dei nostri interlocutori.

11 commenti:

Anonimo ha detto...

Esame perfetto. Nulla da obiettare. Solo un paio di considerazioni:

1) lì per lì, il logo non è tragico, anzi: pochi segni, essenziale, stilizzato (i colori sono compresi nei primi 5 della mazzetta Pantone, ma tant'è...). Una buona icona. Ho apprezzato (ripeto, lì per lì) soprattutto la sintesi di tutti quei concetti. Poi, giorni dopo, mi ci sono riaffacciato ed ho notato come le motivazioni fossero quantomeno "freudiane". Quelle che si identificano a posteriori, ovvero dopo che il lavoro è fatto. "Vedi? Leonardo ha dipinto San Giovanni come una ragazza e lo veste dei colori di Gesù, ma in modo inverso... quindi è la Maddalena". Ho fatto un passo indietro ed ho riflettuto, come Veidt/Ozymandias in Watchmen. Che ho visto? Ho visto un logo, un'icona, che di per sé è tecnicamente perfetta (a parte i colori!) ma che non comunica per niente quello che la RCB è in realtà. Siamo al discorso che fai tu.

2) E qui arrivano le dolenti note: http://www.partinico.info/?q=concorso_cantina_borbonica
Tutto nero su bianco. Il vincitore sembra essere "lo stesso" dell'altro grande concorso indetto da AIAP. Se il risultato è scadente, secondo quanto appena espresso, la dimostrazione (difficile, legalmente, immagino) delle tesi delineate sul link precedente indicherebbe qual è stato il vero "percorso" della giuria. E questo mi sembra molto più grave.

Ovviamente, come ho detto, queste tesi sono indiziarie e non possono essere provate, per cui lascio il giudizio ai "lettori" anche per evitare querele che non potrei pagare.

Marco Innocenti - Kidstudio Communications

PS: Ho partecipato anche io, ma non scrivo per difendere il mio lavoro che era poco progettuale e molto grafico e basta. Non meritava di vincere e così è stato. E' servito come esperienza, sono ancora solo un ragazzino...

PPS: Dobbiamo comunque ringraziare Leader per aver usato ragazze vestite, in questa campagna del Maggio: lo scorso anno, se non sbaglio, la ragazza era nuda, di schiena, ed il claim recitava "è sempre un classico". Tipo, che so, al chioschetto dello sportivo. Mah.

Walter Sardonini ha detto...

Minchia, a schifio finisce...!!!

Anonimo ha detto...

Dubito.

Finisce che non se ne accorge nessuno.

M.

Walter Sardonini ha detto...

Sicuramente no, anche se in effetti è sempre più difficile difendere la buona fede. Tuttavia ritengo che le polemiche e i sospetti non aiutino alcuno ad approfondire i temi della nostra materia. L'analisi del lavoro svolto, della coerenza di postulati e teoremi, l'analisi seria, insomma, dei percorsi seguiti e della qualità dei risultati sia sempre occasione di approfondimento e crescita professionale.
Fatevi vedere agli incontri IDFI.
Saluti

Anonimo ha detto...

Sono d'accordo su quanto dici a proposito di polemiche, ma mi è difficile, in questo peculiare contesto (un concorso truccato?), analizzare il risultato su basi di teoria della grafica, quando il sospetto è che l'unico criterio di selezione sia stato il pre-accordo.
Ribadisco in ogni caso di approvare in toto quanto scritto nel tuo articolo.

M.

Cosimo Lorenzo Pancini ha detto...

Personalmente credo che questo, come altri concorsi, più che mettere in luce eventuali collusioni o deficenze del marchio (che io trovo anche interessante nella sua riuscita sintesi di segni molto contemporanei e riferimenti storici), ribadisca il problema essenziale dell'inaffidabilità di un concorso di questo tipo.

Per me un progetto grafico nasce da un lavoro quasi psicanalitico col cliente, di comprensione delle sue motivazioni e dei suoi desideri. Un processo che a volte ha sterzate improvvise, soluzioni brillanti, ma che spesso si compie di lima.

Come si può sperare che un professionista colga tutte queste sfumature così, tirando alla cieca dei segni in mezzo al mucchio?
Come si può pensare che una giuria di "esperti" rappresenti pienamente i desiderata di un cliente spesso di matrice politica, che non ha nemmeno un idea chiara di cosa vuole e perché?

Insomma, io ai concorsi non ci credo.

PS: per quanto riguarda il maggio - ho sentito diverse critiche e capisco profondamente il punto di vista di Walter e di Marco. Tuttavia io trovo questo look gospel-popolar-fashion-etnico della campagna meno fastidioso della scelta di qualche anno fa di un testimonial come Chiambretti, che sculettava nanerottolo in mezzo a violoncelli e tromboni...

Anonimo ha detto...

Riguardo lo Spec-Design siamo tutti d'accordo, credo. Si partecipa (o, almeno, io partecipo) a questi concorsi solo per vedere se vinco alla lotteria e mi affidano 50mila euro di progettazione grafica.

Vorrei invece trovare il modo di approfondire ulteriormente quanto dice Cosimo a riguardo del rapporto col cliente: ovvero le modalità con cui lo si accontenta. D'accordo che si deve parlare con lui per cogliere appieno le sue richieste (problema che, appunto, un concorso non può risolvere), ma come mai, sempre più spesso, la progettazione alla fine la fa lui?

Premesso che il nostro lavoro è più che altro basato su concetti aleatori e molto difficili anche da spiegare (solo una minima parte è "matematica", il resto è soggettivo - si veda i tre diversi commenti sul logo della RCB), propongo il mio aneddoto preferito.

Caso: Io, Marco Innocenti, sto aprendo un'autofficina. Un lavoraccio (l'apertura, dico), beghe legali, una nuova strada da percorrere e, come se non bastasse, in questi giorni ho un mal di pancia che non vivo.

Cosa faccio? Vado da tre professionisti, uno ogni tre ore, e mi faccio aiutare nel mio progetto.

a) il Commercialista. Questi mi dice, in pochi minuti, che per un'officina delle mie dimensioni è previsto un fatturato di oltre 400mila euro. Mi conferma che sarò soggetto a contabilità ordinaria, che non potrò assumere più di tre dipendenti perché gli utili saranno sempre inferiori al 30% del fatturato e che, per quanto riguarda IVA e tasse andrò per competenza e non per riscossione.

b) il Medico. Dopo una breve analisi stabilisce che è gastrite: niente latte e derivati, niente cibi acidi, niente limone e, soprattutto, tanta Enterogermina.

c) il Grafico. Gli espongo tutte le mie esigenze, questi mi guarda con occhio neutro e mi rimanda a due settimane dopo.

Passano queste due settimane e mi incontro di nuovo col grafico. Nel frattempo ho aperto l'azienda coi consigli del Commercialista e sono guarito (quasi) del tutto coi consigli del Medico.

Il grafico mi presenta venti tavole, un logo originale e bellissimo, tutto il coordinato aziendale, l'insegna ed anche una bozza di pubblicità.
Solo che: il colore del marchio non mi piace (è verde smeraldo e mi ricorda una mia vecchia fidanzata che vestiva sempre di quel colore e soffro troppo ad usarlo), la pubblicità è funzionale, mi sembra, ma io devo dire anche che (flash) "eccezionali sconti per i possessori di Lancia Thesis!!!" ed inoltre (flash) "APPENA APERTO!!!". Poi, c'è da "mettere in evidenza" il logo. E l'indirizzo. E il telefono. E l'email. E la partita IVA. E si deve "mettere in evidenza" la registrazione in Camera di Commercio.
Ah. si può fare più grande la scritta "il futuro della tua auto è nelle nostre mani"? Però io scriverei "Sconti per i possessori di Lancia Musa", invece.

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Come mai io, Marco Innocenti, quando sono stato consigliato dal Commercialista in due balletti su come dovevo fare, sapendo già che avrei speso un bòtto, non ho battuto ciglio ed ho eseguito?
Come mai ho risposto "si, certo" a tutte le prescrizioni del Medico senza esitazione e mi sono fatto passare il mal di pancia (come al solito) solo grazie all'ausilio del tempo perché in realtà non era gastrite ma stress da "apertura d'azienda"?

E come mai, invece, al Grafico ho rotto le scatole su ogni dettaglio della sua progettazione?

Perché noi, che ci riteniamo a ragione professionisti, dobbiamo sempre sottostare alla "creatività" del committente anche quando questo è un meccanico e di comunicazione e grafica non ne sa di più di un coccodrillo?

Cosa ci separa dagli altri?

francesco canovaro ha detto...

Io credo che sia tutto molto relativo, e soprattutto legato all'autorevolezza che un creativo riesce ad acquisire negli anni con l'esperienza e i successi. D'altro canto un architetto/arredatore medio subisce le stesse angherie. Renzo Piano probabilmente no.

Mi sono trovato a lavorare con clienti che avevano piena fiducia del mio lavoro, e a parte qualche ovvia giustificazione, non hanno avuto bisogno di altro.

E qui si torna al problema iniziale. I concorsi sono spesso superficiali, non approfondiscono le motivazioni di alcune scelte e non prendono in esame l'esperienza e la capacità di interpretazione che un designer ha come proprio bagaglio culturale (se poi si parla di concorsi statali, spesso il problema riguarda più il budget che la qualità del lavoro).

Cosimo Lorenzo Pancini ha detto...

x Marco: quello che dici è giusto.
Credo che ci siano due risposte alla tua domanda:

1) Teniamo di più ai soldi e alla salute che all'aspetto delle nostre cose. Triste ma semplice verità, già detta da qualcuno durante un incontro di IdFI:se non segui i consigli del medico muori, se non segui quelli del commercialista diventi povero o vai in prigione, con un logo brutto al massimo diventi presidente del consiglio.

2) La scienza medica, così come la legislazione danno l'impressione di avere regole più sicure e assodate di quelle della comunicazione. Noi stessi, da professionisti, abbiamo difficoltà a metterci d'accordo su definizioni coerenti di bello/brutto, comunicazione corretta o scorretta. Questa secondo me è una colpa dovuta anche molto alla mancanza, da parte di noi professionisti, di autocoscienza, approfondimento, studio dei meccanismi della comunicazione e della creatività.

E tuttavia, se da una parte lamento una grande ignoranza visuale dei comunicatori che mi vedo intorno, dall'altra mi rendo conto che a volte i meccanismi della comunicazione avvengono a dei livelli istintuali sui quali noi professionisti possiamo prendere anche delle cantonate...

(ma questo è un argomento che forse merita uno sviluppo a parte.)

debora manetti ha detto...

Alla domanda di Marco Innocenti "Cosa ci separa dagli altri?", aggiungerei anche il fatto, davvero singolare, che, per un mal di pancia si va dal dottore e per aprire un'azienda si va dal commercialista, ma per fare comunicazione mica sempre si va da un grafico! Talvolta si preferisce una tipografia, o l'amico del cugino tanto bravo e con "tanta tanta fantasia", o un architetto, per dire...
E quindi la domanda che propongo come ulteriore spunto di riflessione è: perché il mestiere del grafico, o in generale il professionista della comunicazione, non è riconosciuto come fondamentale per affidare la comunicazione di un'azienda? e soprattutto... cosa potremmo fare per cambiare la percezione del nostro mestiere a chi ne è estraneo?

Anonimo ha detto...

Mi garbano alcuni concetti.

Il primo, di Mistico, è che serve autorevolezza per essere accettati. Vero. Solo che a un Medico l'autorevolezza la dà già il camice di per sé, mentre il grafico manco con il frac.
Il problema è che "by default" siamo spesso considerati dei professionisti a metà. La mia esperienza dice poi che, se un lavoro è commissionato a 10mila euro allora c'è rispetto, se è una cosina da 300euro, via facciamo alla svelta, senza pensarci troppo, bisogna spendere poco, ecco che questo diventa un incubo, ci lavori il triplo ed il risultato è squallido. La differenza qui, ovviamente, la fa il committente che da una parte è uno che ci crede, che sa come funziona, che ha per esperienza e per natura rispetto del tuo lavoro, l'altro è un po' meno un true believer...

Per quanto riguarda quello che dice Cosimo: l'istintualità è una grossa parte del nostro lavoro, quella che ci avvicina all'artista e ci allontana, appunto, dal medico, ma non è la sola. Ci sono cose come gli ingombri, le gabbie, le griglie etc.. è questo che viene spesso contestato. La dimensione relativa o assoluta dei caratteri, cose del genere. Non è istinto decidere che un carattere corpo 12 su un volantino è anche troppo grosso, per un testo a piena pagina.

E per quanto riguarda Debora: "tanta, tanta fantasia"? Basta il fatto che "c'ha internet". O "c'ha Photoshop". Aneddoto. Ci viene richiesto di fare un packaging per un "olio d'oliva" (un lavoro assurdo, rifiutato per principio, ma lasciamo perdere...). Siamo ingabbiati dall'etichetta delle "bottiglie", ridicola. Il prodotto dovrebbe essere "elite-very-exclusive-ParisHilton" ma sembra olio essenziale. Chiediamo di cambiare anche le etichette. Risposta: "no, quelle dobbiamo tenerle". "Ma... sono oscene (senza offesa, eh!)". "Eh, lo so, le ha fatte il nipote del titolare, c'ha il computer... avevamo fretta che c'era una presentazione...". "Vabbè, rifacciamole, non potete presentarvi così per un prodotto eclusive-ParisHilton...".
.... (pausa) ....
"Eh, no, ne abbiamo già stampate 150.000."

Si vede che la presentazione era per i Cinesi, sezione pechinese al completo.

-M.